Washington attacca Google, Yahoo! e Microsoft
La censura online in Cina arriva nei palazzi del potere americani. La commissione parlamentare sui diritti umani accusa le aziende occidentali piegatesi ai voleri di Pechino e le convoca a Washington. Ma nessuno si presenta.
Gli affari sono affari, negli Stati Uniti: in Cina possono essere anche guai seri, specialmente quando la corsa all'oro segue un percorso che calpesta i diritti umani. Il parlamento americano ha perciò condannato aspramente il comportamento di Microsoft, Google, Cisco e Yahoo!, colossi industriali accusati di essere scesi a compromessi con i diktat della Repubblica Popolare Cinese, patria della censura totale su Internet.
L'amministrazione di Washington ha accusato queste grandi multinazionali di avere anteposto il profitto al valore supremo della libertà d'espressione, cardine costituzionale degli Stati Uniti sin dalla Dichiarazione d'Indipendenza. "Il denaro vi ha fatto piegare alle pressioni di Pechino", accusa il deputato Tom Lantos. Le aziende in questione, convocate per un'udienza in parlamento, hanno clamorosamente snobbato l'invito. "Vi dovreste vergognare", ha rimproverato Lantos riferendosi ai grandi assenti, "perché con tutta la vostra influenza, il vostro potere e la vostra visibilità, non avete voluto intervenire in nessun modo per aiutare chi lotta per trasformare la Cina in un posto più umano". Poi aggiunge: "Questo comportamento ha causato molti incidenti e soprattutto molte polemiche internazionali".
Lantos, membro di spicco del parlamento, si riferisce naturalmente all'appoggio che Yahoo ha fornito alle autorità cinesi per catturare il giornalista dissidente Shi Tao, condannato a dieci anni di reclusione. Una mossa che frantumò la speranza di molti utenti Internet, convinti che la presenza dell'industria ITC americana in Cina avrebbe lentamente ammorbidito la morsa della censura statale sull'informazione online.Carolyn Bartholomew, a capo della commissione per le relazioni sinoamericane, ha voluto ribadire la gravità della situazione: "La Cina utilizza il più potente e sofisticato sistema di controllo dell'informazione mai costruito", sottolinea.
Il rischio, dice la Bartholomew, non è che Internet possa cambiare e democratizzare la Cina, quanto "la possibilità che la Cina possa cambiare il volto di Internet".
Il parlamento federale di Washington ha programmato un ulteriore incontro con le aziende coinvolte, previsto per il prossimo 15 febbraio. "Tre aziende su quattro hanno accettato di presentarsi anche se in modo informale, così avremo finalmente modo di conoscere quale tipo di tecnologie utilizzano in Cina ", ha dichiarato il parlamentare Chris Smith. Smith ha poi scherzato sull'uso di cookie per controllare i cittadini: "Ci sono per caso web cookie speciali che possono essere usati per tracciare i dissidenti?".
I responsabili dello scandalo cinese, ormai sulla strada per diventare una catastrofe istituzionale, non hanno tardato a far sentire la loro voce. I portavoce del gigante di Redmond dichiarano che "in veste di leader globali nella forniture di servizi Internet, siamo estremamente preoccupati dei fatti che hanno causato l'interessamento del governo statunitense".
Una soluzione definitiva alla crisi, in grado di soddisfare tutte le parti coinvolte, sembra tutto fuorché vicina. La software house fondata da Bill Gates spinge Washington ad "agire a livello diplomatico con Pechino", visto che "il problema è ben più grande rispetto al nostro raggio d'azione". Il re dei motori di ricerca, Google, vuole "maggiore dialogo con le istituzioni cinesi" ed un insieme di "regole condivise per chiunque voglia investire nell'informazione all'interno di quei paesi con regimi che controllano Internet".
Da Mountain View, inoltre, alcuni dirigenti fanno sapere che "la presenza di Google in Cina è sicuramente vantaggiosa per gli utenti locali, perché aspettiamo fiduciosi un lieto fine: alla lunga, potranno beneficiare dei tremendi effetti della libertà d'informazione offerta da Internet"."Al di là della considerazioni di carattere commerciale ed economico", si legge poi in un comunicato congiunto firmato dai portavoce di Yahoo e Microsoft, "i nostri servizi sono un beneficio per tutti gli utenti di lingua cinese nel mondo". "Senza dubbio", concludono, "i nostri concorrenti locali ed internazionali in Cina sarebbero molto felici di vederci andare via". Ma nessuno, ovviamente, parla del ritiro dalla Cina, dello stop a qualsiasi forma di connivenza con il regime di Pechino, come soluzione al problema. Il Dragone è un mostro troppo spaventoso per non essere coccolato dall'Occidente democratico. Come andrà a finire? [via punto-informatico.it]
di Tommaso Lombardi