27 giugno 2006

Statistiche video online

Si parla molto del boom che i video online stanno vivendo. Sicuramente è una delle forme di user generated content che sta avendo maggior successo.

Di seguito un po' di statistiche relative al mondo dei video online, ai principali video network, dati di traffico etc...che ci aiutano ad avere un'idea più precisa (seppur sempre parziale) del fenomeno.

Se siete in possesso di ulteriori dati, ovviamente postateli nei commenti.

Network Video Online:

ClipShack: 2200 utenti al giorno. (fonte: AdBright)

Google Video: 12.5 milioni di utenti nel mese di Aprile. (fonte: Washington Post).

iTunes: 20.7 milioni di utenti mese (Dicembre 2005), di cui il 54% uomini ed il 46% donne (fonte: InformationWeek)

Grouper: 8 milioni di utenti/mese (fonte: PR News)

Ourmedia: 28,000 utenti/giorno (fonte: AdBright).

Vidiac: 2 milioni di video in streaming ogni giorno e circa 3 milioni di utenti mese (fonte: Silicon Beat)

Vimeo: 20 mila utenti al giorno (fonte: USA Today) e 50.000 utenti registrati.

YouTube: 60,000 upload al giorno; 70 milioni di video trasmessi ogni giorno a circa 6 milioni di visitatori giornalieri; 200 milioni di pageview/giorno (fonte: You Tube Fact Sheet ).

Di seguito la lista recentemente stilata da Hitwise dei primi 10 network dedicati ai video online, ordinati per market share:


  1. YouTube 42.94%

  2. MySpace Videos 24.22%

  3. Yahoo! Video Search 9.58%

  4. MSN Video Search 9.21%

  5. Google Video Search 6.48%

  6. AOL Video 4.28%

  7. iFilm 2.28%

  8. Grouper 0.69%

  9. Daily Motion 0.22%

  10. vSocial 0.09%

19 giugno 2006

Brand Response

La pubblicità del web va verso il brand e non verso la direct response. Cerco di spiegarmi meglio. Partiamo da un presupposto ‘filosofico’: la pubblicità non esisterebbe se non ci fosse rischio. Ovverosia, dato il fatto che gli spazi pubblicitari (per quanto innumerevoli) sono limitati e dato il fatto che ciascun essere umano può vedere (consciamente o meno) solo alcune migliaia di messaggi al giorno e può ‘assorbirne’ solo pochi, e dato il fatto non irrilevante che il budget di ogni famiglia è limitato, possiamo concludere che non tutte le società possono investire in promozione/advertising (mettiamo qui tutto nello stesso calderone) guadagnandoci.

Questo pesudosillogismo è anche confermato dal fatto che uno strumento da tempo maturo e comunque universalmente riconosciuto come efficace come la TV, soddisfa economicamente solo il 20% dei suoi clienti (i.e. nel primo anno riescono a coprire le spese dell’investimento pubblicitario). Ipotizzare un mondo in cui tutti possono investire in advertising senza perdere soldi è ‘il migliore dei mondi impossibili’. Sarebbe leggermente più possibile (se posso usare questa forzatura intellettiva) se gli editori fossero costantemente e irrimediabilmente in perdita.

Se infatti è vero che non tutti possono guadagnare con la pubblicità (per il sillogismo di cui sopra) e che i margini degli editori non sono altro che normali margini indistriali (superiori alprimario ma di certo nondieci volte tanto), è allora evidente che un editore che vende pubblicità ‘a successo’, in modalità pay per action o pay per revenue, sarà sempre in perdita.
Questo per quanto concerne un discorso ‘filosofico e logico’.

Veniamo ora alla storia della pubblicità. Ricordando bene che le logiche dell’economia non sono affatto state sovvertite da Internet e che la Net Economy è New soltanto per alcune accelerazioni delle tempistiche, dobbiamo ricordarci che tutti i sistemi pay per action non one to one (parlo del rappresentante di ombrelli et similii) sono stati tipici dei mercati immaturi. Anche Mediaset faceva pay per sale con i materassi permaflex alla sua nascita, perchè nessuno avrebbe pagato una lira per un sistema che non conosceva, di cui non si fidava e che soprattutto era ‘nuovo’ (con tutto quello che comporta anche da un punto di vista socio-psicologico). Ora sarebbe impensabile chiedere a Mediaset di vendere i propri spazi pubblicitari con una logica di ‘direct response’ e una valutazione dei costi legata a questa stessa logica e questo perche’ il mercato è maturato, e un editore non si metterebbe mai in testa di assumersi il rischio di sostenere le incapacita’ di management o le difficolta’ oggettive di mercato di uno o centinaia di clienti (pensiamo poi alle spese per controllarli tutti).

Aggiungo inoltre che i mercati veramente maturi nel web non sono rappreserntati dagli U.S.A, ma dai paesi scandinavi, dove la pubblicità viene venduta Non ad action, Non a click, Non a impression, ma addiritturra…a tempo (un mese del sito x sulla posizione z costa y). Anche i ritch media format, che stanno sempre più crescendo nel web advertising e su cui investono Yahoo Google e compagnia bella, sono la dimostrazione che c’è il sentiment che il futuro del mercato è quello: meno direct response e più brand.

E per chi non può nemmeno parlare di brand: pay per click o pay per impression, ma sicuramente non pay per sale (Tradedoubler non si sogna di fare pay per impression in italia, mentre non si sogna di fare pay per click in Norvegia….). [ fonte Marketing Routes]